Siamo sicuri che un impianto idro-termo sanitario autonomo sia la soluzione migliore e più conveniente per chi vive in un appartamento in condominio? Stiamo parlando dell’impianto di produzione e gestione della climatizzazione (sia di riscaldamento e raffrescamento o solo riscaldamento) e dell’acqua calda sanitaria, all’interno di edifici condominiali di ultima generazione, basati per la gran parte sull’abbinamento di una pompa di calore a funzionamento elettrico e pannelli fotovoltaici.
Esistono due tipologie principali di impianti come questi: singoli impianti autonomi ed impianto centralizzato a gestione autonoma.
Nell’esperienza di Ediltecnica la risposta
L’esperienza sul campo di Ediltecnica con entrambi i tipi di impianto è servita a verificare quale sia la soluzione che rappresenta un reale valore aggiunto per i clienti e quindi quale anche la proposta più opportuna dal punto di vista commerciale. Fermo restando che la gestione all’interno dell’abitazione (banalmente: quanto riscaldare o raffrescare la casa) è in entrambi casi a gestione autonoma e indipendente tramite cronotermostati ambiente, abbiamo compreso, dati alla mano, che gli impianti centralizzati sono, in definitiva, i più economici per i clienti, i più pratici nella gestione, i più efficienti, i più ecologici e ad alto risparmio energetico.
Vediamo più nel dettaglio le ragioni di questa affermazione.
Perché l’impianto centralizzato a gestione autonoma conviene
Prendiamo l’esempio di un condominio da 13 appartamenti, quale “Le terrazze di Sofia” a Ozzano dell’Emilia.
Nel caso di impianto centralizzato, abbiamo una pompa di calore della potenza nominale di 30 kW, sufficiente per coprire il fabbisogno energetico di tutto il condominio, che può contare su un apporto di 13 kW di energia elettrica generati dal fotovoltaico condominiale, pari ad 1 kW ad appartamento.
Se, al contrario, si optasse per impianti autonomi, si dovrebbero installare 13 pompe di calore della potenza nominale di 7 kW cadauna (in considerazione della dimensione e tipologia di appartamenti) con un impianto che complessivamente genererebbe quindi 91 kW (13×7) di potenza, ossia il triplo del fabbisogno del fabbricato. Questo significa avere una serie di impianti meno efficienti (ossia più costosi e soprattutto più inquinanti) che si traducono in una classe energetica più bassa.
Il discorso è altrettanto evidente se concentriamo l’attenzione sulla produzione di acqua calda sanitaria, servizio che determina (considerando le esigue dispersioni termiche dell’edificio) il dimensionamento della pompa di calore. Nel nostro condominio da 13 appartamenti abbiamo un accumulo grande, da 1.000 litri, tenuto in temperatura dalla pompa di calore centralizzata. Nell’ipotesi di impianti autonomi dobbiamo invece avere 13 accumuli da almeno 200 litri ad appartamento, quindi i nostri impianti devono tenere sempre caldi non 1.000 litri, ma ben 2.600 litri di acqua sanitaria!
Dal momento che gli impianti singoli nell’intero fabbricato danno quindi un apporto energetico pari al triplo del necessario, è allora necessario intervenire sulla progettazione dell’impianto con una serie di dotazioni supplementari (ad esempio 2 kW di fotovoltaico ad appartamento invece che 1, impianti di ventilazione meccanica controllata con recupero di calore, pannelli solari termici, ecc…) non per dare un valore aggiunto all’immobile, ma per compensare la minore efficienza dell’impianto e migliorare la categoria energetica delle unità immobiliari.
Altre valutazioni a favore dell’impianto centralizzato
Passiamo ad analizzare ora gli aspetti economici e gestionali.
È evidente che un impianto meno efficiente significa avere maggiori consumi e quindi maggiori costi, oltre a parte questo ci sono una serie di altri fattori da tenere in considerazione nella scelta.
Prima di tutto l’affidabilità e quindi i costi di gestione: una pompa di calore centralizzata ha più compressori, in modo che se malauguratamente se ne dovesse rompere uno, ci sono comunque gli altri a supporto. Le pompe di calore di minori dimensioni per singoli appartamenti hanno invece un solo compressore, che in caso di guasto pregiudica il funzionamento dell’impianto. Al netto di eventuali guasti, in ogni caso, per quanto le pompe di calore non necessitino di interventi particolarmente complessi, è sicuramente più onerosa la manutenzione annuale di 13 pompe di calore rispetto a quella di 1 pompa di calore.
Per non parlare poi della futura sostituzione, che comunque bisogna mettere in preventivo nell’arco di una ventina d’anni: a valori attuali una pompa di calore condominiale costa circa 27.000 euro, mentre una pompa di calore singola costa circa 8.000 euro, per una spesa complessiva di 104.000 euro.
L’ultimo aspetto da valutare è tecnico e logistico: realizzare 13 impianti autonomi, 13 impianti fotovoltaici autonomi, 13 accumuli ecc… comporta l’utilizzo di spazi utili del fabbricato per poterli dedicare agli impianti (macchinari, corrugati e tubazioni) oppure la necessità di aumentare gli spazi del fabbricato (con maggiori costi per l’acquirente) senza che ci sia alcun beneficio in termini di fruibilità e vivibilità.